Dopo la condanna io sono stata ancora due mesi a Roma, sono partita il 12 di gennaio, sono passata per Caserta, Benevento, Foggia e Trani. Il viaggio è durato dieci giorni, due o tre giorni per carcere facevamo – in quei carceri sporchi, sporchi – perché la traduzione non era tutti i giorni, era solo ogni tre, quattro giorni. […]
A Trani mi mettono in una cella da sola, mi tolgono tutti i vestiti e mi portano a fare il bagno, in quei bagni di pietra, perché lì era una parte di convento domenicano, allora c’era ancora quelle vasche grandi. Poi mi danno una sottoveste, una camicia con le mezze maniche, come quelle antiche abbottonate fin qua, le calze bianche di cotone, lunghe solo fino al ginocchio, senza mutande, – senti l’igiene! – e poi mi mettono il vestito, un vestito fatto a righe, fatto come le antiche donne, pieghe di dietro, liscio davanti, abbottonato, con quelle bustine, poi un fazzoletto, un grembiule, una berretta e mi portano sopra. Dice: “Stia lì che adesso deve passare il dottore”. Passa il dottore, mi fa coricare, per fare una visita interna. Io mi sono fatta una ripugnanza e questo dottore ha detto: “E’ una piccirella”, finita lì. E io ho detto: “Ma devo stare senza mutande?”, e pure non me le davano. Io le ho chieste, ma il regolamento era così, vestiti lunghi senza mutande. Allora quando tu eri indisposta ti davano degli asciugamani, e poi dopo un bel pezzo ci hanno poi dato le mutande, dopo diversi mesi. Abbiamo fatto una dimostrazione; come da una donna a stare senza mutande? Abbiamo reclamato al ministero.

(Intervista a Giorgina Rossetti del 1978 tratta da Laura Mariani, Quelle dell’idea. Storie di detenute politiche 1927-1948, Bari, De Donato, 1982, pp. 69-70)


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