I miei due figli, Aldo (Baldo Biondo) e Edoardo (Van) sono partigiani, Franco (14 anni) vive con mi (sic) la frazione Ormezzano di Vallemosso i difficili momenti del terrore che le camicie nere del criminale Cecora fanno vivere alla gente della valle.
E’ l’otto settembre 1944, quando si presentano i fascisti nella mia casa. Ci minacciano di morte, vogliono sapere dove sono i miei figli. Rispondo che non lo so, che se ne sono andati da casa da molto tempo, e loro mandano il mio ragazzo in cantina con un piccone e una pala e gli ordinano di scavare una fossa.
Sono terrorizzata. Franco è ancora un ragazzo. Intanto alcuni di loro cominciano a buttare fuori nel cortile tutto quello che c’è in casa. Ne fanno un grosso mucchio e poi vi appiccano il fuoco. Trovano un pacco con delle calze e alcune sigarette e questo li rende ancora più feroci e mi picchiano.
Intanto altri stanno mettendo a socquadro (sic) le case dei vicini, e in casa dei Barco trovano dei volantini della resistenza.
Anche addosso a Vanda Goito trovano una canzone partigiana. Nel cortile il fuoco distrugge tutte le mie povere cose, nulla è stato risparmiato. Poi decidono di non usare quella fossa che hanno fatto scavare in cantina e io, Franco, Cecilia Barco (63 anni) Ambrogina e Vanda ci portano al comando dove ci rinchiudono in celle separate.
Dopo 3 giorni passati con una pagnotta sola vengo interrogata, ma non so niente, non posso dire niente.
Mi offrono denaro e la libertà perchè io vada a chiamare i miei figli e li convinca a costituirsi.
Ambrogina viene rilasciata. Vanda lo sarà dopo 10 giorni. Quello che avrà passato nelle sporche mani di quei criminali quella ragazza di 16 anni non lo racconto, ma lo lascio immaginare a chi legge queste righe.
Al 17 settembre ci portano alle carceri del Piazzo, e dopo alcuni giorni al comando fascista di Biella. Tenendo mio figlio per mano entro in un ufficio dove un boia espone sulla scrivania un ritratto, e a una domanda Franco si tradisce. Certo che lo conosco quello lì. E’ Moscatelli. Il premio per la sua sincerità saranno molte botte e frustate per lui e per me.
Poi veniamo consegnati a un tedesco che ci porta a Villa Schneider. I muri sono sporchi di sangue, sento urla e lamenti tutte le notti. Gli interrogatori si susseguono, le percosse e le minacce ormai non mi fanno più paura, chiedo solo pietà per il mio ragazzo.
Intanto a Vallemosso qualcuno si interessa della nostra sorte. Maria Coggiola, Don Luciano e altri. Siamo ormai in ottobre e un giorno Don Vernetti viene a farci visita. Le (sic) dico che se è venuto per confessarci noi non abbiamo peccati sulla coscienza. Lui si arrabbia un po’ ma poi ci dice di pregare e di avere fiducia.
Per ben tre ore è durato il suo colloquio con il comandante tedesco, e noi intanto veniamo portati nei sotterranei della villa. Passiamo un’ altra notte di terrore e poi finalmente ci lasciano liberi.
Fuori ci aspettano Maria Coggiola e Angielina Barco che riabbraccia la vecchia madre, che è stata nostra compagna di sventura. Anche lei ha sofferto molto e ha difeso la libertà dei suoi figli partigiani.
Arriviamo fino a Lessona in treno e poi a piedi fino a Vallemosso. E’ ormai sera e c’è il coprifuoco. Veniamo ospitati tutti nella fabbrica del Botto Giuseppe e lì passiamo la nostra prima notte di libertà, ben nascosti e protetti dagli operai che vi lavorano.
Il giorno dopo con Franco vado a Crocemosso ed Elefante (Piantino Elio) avverte i miei figli e ci portano a Portula dove troviamo alloggio e dove passeò il resto del tempo che ci separa dalla liberazione.

(Archivio Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea nel Biellese, nel Vercellese e in Valsesia – Fondo Memorie e Testimonianze sulla Guerra e la Resistenza, busta 79, F. 1/2, Lodovina Rolando)


Leggi la Biografia di Lodovina Rolando