La mia storia ha inizio il 23/11/1943, giorno in cui mio fratello Dino ed io fummo arrestati perché la polizia venne a conoscenza dell’aiuto che noi e la nostra famiglia (come tante altre), avevamo dato dopo l’8 settembre ai prigionieri inglesi, neozelandesi, ed ai soldati fuggiti da dove la “naia” li aveva portati. Li mettevamo a dormire nelle stalle, sui fienili, li abbiamo forniti di abiti civili. Per poter mangiare io e mio padre andavamo nel vercellese a racimolare riso, granoturco, patate, quello che trovavamo.
Il 23/11/43 fummo portati per tre giorni nel carcere di Biella, poi quindici giorni nelle carceri di Vercelli ed infine ci fecero fare carriera alle “Nuove” di Torino. Premetto che quel giorno tra Biella e Mongrando ne avevano arrestati tredici. Tutti gli altri poco alla volta uscirono, noi invece fummo deferiti al Tribunale Speciale con l’ordine della fucilazione perché accusati di “appartenenza a bande armate per l’insurrezione contro i poteri dello Stato”. Che importava se durante l’accurata perquisizione della nostra casa non erano state trovate né armi, né munizioni, noi dovevamo essere ugualmente fucilati. Alle persone che ci interrogavano tanto in questura che in Tribunale rispondevo che dar da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, erano opere di misericordia corporali che conducevano verso il Paradiso. Ora invece per quelle stesse cose per noi c’era la fucilazione. Ma che mondo è mai questo? Ebbi vari interrogatori anche alle carceri di Torino da parte di vari giudici, ed io ripetevo il solito ritornello, che era la verità.

(Tratta da: Archivio Insmli-fondo Rai La mia guerra, busta 16, documento 1877)


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